Pagina:Deledda - La giustizia, Milano, Treves, 1929.djvu/120

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osservò, e il pensiero tornò con insidiosa dolcezza ai ricordi.

Dopo cena andò a chiuder la porticina che dava sul cortile, e sporse la testa al di fuori: l’aria era così tiepida e fragrante, che l’invitò ad uscire. Si sedette sul davanzale esterno della finestra, e appoggiando la testa all’inferriata, volle pregare: ma se le belle labbra scarlatte pronunziavano mistiche parole, il pensiero tornava nella dolce via delle domande insidiose.

Che accadeva al di là degli alti muri, che, sotto la bianca luce degli astri, lievemente velati da chiare nebulosità, apparivano di una incerta tinta pallidi e vanescenti? Erano rifiorite le selvatiche aiuole dell’orto paterno, così vicino e tanto lontano? E la fragranza della notte era forse il profumo dell’acqua della vasca, dei salici rinascenti, delle prime foglie chiare e lucide del noce?

Che accadeva là dietro? Come forse andava in rovina la casa, sotto il pernicioso regime delle serve avide e infedeli? Pensava Stefano ad ammogliarsi? Lasciava don Piane le sue strane idee? Svanivano dal suo cuore, assieme al calore della vita, le passioni, i puntigli, le crudeltà, e inconsapevoli e volute? Si ricordavano della reclusa?

A questa domanda ella abbandonò la testa sull’inferriata e sentì la gola un po’ stretta; la riprese il senso di tristezza profonda da cui