Pagina:Deledda - Le colpe altrui.djvu/18

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dato di tettoie sotto cui si aprivano le porticine e le finestruole di una casa bassa nerastra, il luogo si animò di stridi e d’urli; i galli dorati che piluccavano l’orzo fra un mucchio di aratri e di ruote smesse starnazzarono come uccelli selvatici; dalla legnaia volarono stridendo un falco con le ali mozze e due cornacchie addomesticate, e dalla tettoia in fondo un cane rosso e feroce come un leone si slanciò in avanti quanto glielo permetteva la sua catena rizzandosi sulle zampe posteriori.

— E che c’è? Siamo cristiani, — gli disse il frate con un cenno amichevole; ma gli urli del cane continuarono a riempire d’echi la solitudine intorno allo stazzo. Finalmente a un finestrino apparve un viso di donna mora, con le grosse labbra sporgenti e i grandi occhi dal bianco azzurrognolo; accennò al frate di aspettare e uscì fuori col grembiule colmo. Dopo che ella ebbe versato nella fodera le patate che avevano il germoglio, il vecchietto la guardò ammiccando:

— Sono venuto per vedere il tuo padrone.

— È inutile; non vuole vedere neanche i servi.

— Quelli fa bene, così vanno a lavorare. Va, prova a dirgli che c’è frate Girolamo di Monte Nieddu.

— È inutile; non ha voluto neppure il prete di San Teodoro.

— Prova, figlia! Se dice di no, dice di no.

La serva era di poche parole; tornò dentro col suo passo silenzioso e tardò a ricomparire,