Pagina:Deledda - Le più belle pagine di Silvio Pellico scelte da Grazia Deledda, 1923.djvu/22

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Quando nel 1830, Silvio Pellico, graziato dall’Imperatore e uscito dallo Spielberg, ritornò nella sua casa a Torino, per consiglio d’amici e per appagare il suo fervore religioso e suscitarlo negli altri scrisse quelle sue memorie che dovevano diventare le famose Mie prigioni: in esse «simile ad un amante maltrattato dalla sua bella e dignitosamente risoluto di tenerle il broncio» lasciò del tutto in disparte la politica.

Il libro non appena pubblicato nel 1832 andò a ruba e fu letto avidamente: esso rappresentava il grido straziante dell’Italia oppressa. Tradotto in molte lingue rivelò al mondo la barbara tirannide dell’Austria e fu per essa «più che una battaglia perduta» (Balbo). Qualche lacuna voluta nelle Mie Prigioni, per riguardo del compagni ancora in carcere, Il Pellico stesso pensò riempire continuando il libro: ma dei cosidetti Capitoli aggiunti non ne rimangono che dodici, donati da lui al traduttore francese A. Latour, pubblicati appunto in quella traduzione nel 1834. A tall lacune suppliscono le note Addizioni del forlivese Piero Maroncelli, stampate nel 1838.