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passavano nello sfondo dei viali. Una specie di fascino la vinceva. Il quadro del Pincio, quel giorno, era troppo luminoso, troppo bello: un cielo perlato, alberi violetti fra alberi verdi, figure ben vestite di persone sfaccendate, profili e figurine da pittura su porcellana.
I bei cavalli lucenti, le carrozze piene di signore eleganti, passavano e ripassavano, come nello sfondo di un palcoscenico, con una specie di corsa ritmica che affascinava, ma di un fascino sonnolento simile a quello che desta l’acqua corrente.
Un tempo Regina aveva invidiato quelle signore, fino all’odio, fino all’errore: ora le pareva di compassionarle, per la loro noia, per la loro inutilità, per la loro corsa ritmica, sempre la stessa, sempre eguale, come nei viali così nella vita.
— Vogliamo andare? Comincia a far fresco, — disse la balia.
Regina si scosse: il sole era tramontato, limpido in un cielo limpido che si tingeva appena d’un lieve rosa-verdognolo: sul quadro calava ora una luce cenerina, d’una soave tristezza.
Regina s’alzò docilmente, e seguì la donnona il cui volto di bronzo spiccava nell’aureola d’oro della cuffia della balia.
*
Cammina, cammina, Caterina s’addormentò sulla spalla possente della balia, ed il crepuscolo roseo-cinereo gettò il suo velo sulla via Sistina. La balia precedeva, grave ed ondeggiante come una barca carica; Regina, sottile e