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Terza. 267

può mettersi in dubbio, che questo cagioni nel medesimo quella scioltezza che dà risalto a tutte le operazioni sue, e che di più li faccia apprendere il maneggio dell’arme tanto necessario sì alla guerra che alla caccia; onde questo dev’essere la meta a cui devono tendere tutte le mire, e del Maestro che deve insegnarle allo Scolare, e del Cavaliere che deve apprenderle.

Due sono gli oggetti che riguarda il maneggio della lancia, uno è il ferire il bersaglio, e l’altro il farlo con grazia e disinvoltura; nelle giostre antiche il primo aveva giustamente la precedenza al secondo, ed ora nel giuoco delle teste e anello, deve esser preferito il secondo al primo, per le ragioni addotte.

Era in antico la lancia un’arme in asta di lunghezza quattro braccia, grossa e pesante nel calcio, e forte in punta, e però formata di legno di leccio o simile ad esso, perchè potesse resistere alla forza del colpo dell’incontro, ed alla durezza dell’armatura, sì nel ferire che per levar di sella il nemico, armata nella cima d’essa con una punta d’acciaro che la fasciava.

Il corpo della medesima era tirato a guisa di piramide in due riprese; poichè per la lunghezza d’un braccio e mezzo in circa, cominciando dal calcio, era grossa e pesante, e circa al mezzo di questa misura vi era un incavo, che dava luogo alla presa della mano, ed a quest’effetto il legno ivi restato intatto era


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