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Quarta. 391

ne, vuote, o figliate, per tagliare la strada a qualunque pregiudizio che sovrasti loro.

Superato che sia lo sconcerto che cagiona la mutazione del cibo, ed accostumati a mangiar con piacere, e con profitto il nuovo, ed inoltrata vicino al suo termine la stagione pericolosa, e per conseguenza assicurati da non poter più soggiacere agl’inconvenienti della medesima, deve il custode rivoltare le sue mire e premure a minorare al possibile la spesa di quel governo, che di mano in mano si va rendendo inutile, non solo per il profitto che da questo si ritrae, ma anche perchè è d’uopo rimettergli insensibilmente a quello dell’erba naturale, a proporzione che questa va acquistando maturità e sostanza, e perdendo la facoltà di sciorre il corpo, per evitare al possibile l’incontro di una nuova pericolosa mutazione, allorchè si dovranno rimettere alla pastura della campagna.

Però è d’uopo di scemare nella sopraddetta trita a poco per volta la semola, fino ad abbandonarla affatto, e dipoi con l’istesso metodo ancora il fieno, tanto che vi resti solamente l’erba seminata, già divenuta di maggior sostanza.

Devonsi allora tenere più tempo in pastura, e far loro mangiar dentro l’erba sopraddetta, perchè ripieni da questa non abbia forza l’erba tenera di campagna d’apportar loro nocumento, e la purga che lor cagiona produca loro il dovuto profitto; allora poi che anche questa ha presa


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