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284 ZOSIMO, DELLA NUOVA ISTORIA

dere alla tromba i beni di chiunque, vivente Stilicone, ottenuto avesse magistrature, occupavasi tutto nell’accumulare danaro a vantaggio del pubblico tesoro. E come non bastevoli cotante dovizie a satollare il demone che incatenava coll’opera de’ malvagi, e nell’abbandonamento del Nume scompigliava le umane cose, un che di peggio ancora sopraggiunse ad accrescere le presenti sciagure.

Le truppe di presidio nelle città, udita la morte di Stilicone, tolgon di vita donne e la prole de’ barbari, e quasi ad un convenuto segno trucidatele mettonne a sacco le case. I parenti delle uccise, avutone avviso, accorsi da ogni luogo e gravemente commossi per la fede, chiamatone a testimone il Nume, in così empio modo violata dai Romani, statuiscono di confederarsi con Alarico e d’intraprendere insieme la guerra contro all’impero. Il di che ragunati da trentamila combattenti, o poco più, recatisi tosto ovunque cade loro in pensiero. Alarico non di meno, quantunque stimolato da essi, rifiutasi dall’impugnare le armi anteponendo per ora la pace ai bellicosi aringhi, memore della tregua, vivente Stilicone, conchiusa. Al qual uopo, mandati ambasciadori, chiede, che si passi mediante non molta pecunia a ratificare gli accordi, e diensi per istatichi Aezio e Giasone, quegli prole di Giovio e questi di Gaudenzio, promettendo pur egli spedire sotto egual titolo parecchi de’ suoi illustri personaggi, ed a tali patti, osservando fedelmente la pace, ritirerebbe le truppe dal Norico nella Pannonia. Ma l’imperatore disdegnando consentire alle proposte fattegli