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110 la carbonaria

ciatevela e baciatela, e lasciate star Melitea. Questo modo è precipitoso, questo non è buono; qua ci va la conscienza, qui la riverenza: voi quello che potete, non volete, e quello che non potete, volete. Ne avete poca voglia. A dio.

Pirino. Oh, come sei colerico! stammi allegro, ché ad un ammalato è gran refrigerio aver un medico allegro.

Forca. Voi sète un ammalato troppo pusillanimo e disobediente; non volete sorbir le medicine.

Pirino. Queste tue medicine son troppo violenti per lo pericolo della vita, troppo nauseabonde per l’infamia e troppo amare per l’anima: e se ben la polvere del delitto mi accieca l’occhio della ragione, pur non son tanto cieco che non conoschi l’errore.

Forca. Perdo il tempo, mi vo’ partire.

Pirino. Aspetta, fermati un poco. Ahi, traditora fortuna, a che mi conduci? Eccomi in una grandissima lite tra il padre e l’amore: il padre mi cerca la riverenza, amor non ascolta ragioni, è giudice e parte, mi spaventa con le saette e col fuoco e con la morte. Padre mio, vorrei ubbidirvi, amor non lascia dispor di me: o anima mia, bilanciata da tanti mali e agitata da tante onde di tempeste, come determinerai questa lite? Padre mio caro, abbi pazienza per questa volta: amor che vince ogni cosa, vince ancor me: perda il tutto e acquisti Melitea. Forca, ti do in mano il freno d’ogni mia volontá.

Forca. Bisogna far un inganno a vostro padre.

Pirino. Se non basta a mio padre, fallo a mia madre, fallo a me ancora.

Forca. Conosco che sète un di quei che bisogna fargli ben per forza: bisogna aver animo per me e per voi. Vi vo’ far conoscere che vaglio tanto oro quanto peso: son rissoluto d’ingannarlo.

Pirino. Come? dove? dimmi.

Forca. Non so il come né il dove: levo di qua, pono di lá; sconcia di qua, poni di lá, andrò tanto girando col cervello, che qualche cosa sará. Ma ecco tuo padre, conosco negli occhi il fuoco della còlera: scòstati da me, che non ci veggia insieme.

Pirino. Starò a veder quel che fará costui: alcuna solenne astuzia gli uscirá di mano.