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atto secondo 125


Panfago. Perché cosí faresti tu.

Pirino. Mi vo’ fidar della tua fede, che non manchi di fede a chi si fida nella tua fede.

Panfago. Eccovi la mia fede di osservarvi fedelmente la mia fede.

Pirino. Fa’ che non t’esca di bocca.

Panfago. Prego Iddio che non ci entri né pane né vino, mi cadano i denti, e il palato non gusti piú sapor de’ cibi, ma diventi come quello degli infermi — che ogni cosa lor pare amara, — né la lingua assaggi e rivolga boccon per la bocca, se di ciò rivelerò mai cosa alcuna.

Forca. Per conoscer se sarai buono a quello che vogliamo servirci di te, vo’ prima essaminarti un poco.

Panfago. Ché! sei tu mio giudice?

Forca. Dimmi: come sei destro?

Panfago. Destrissimo.

Forca. Non dico ad arrobbare, io.

Panfago. Né manco dico questo, io, ma al negoziare.

Forca. Di che razza sei?

Panfago. Di giudei.

Forca. I tuoi quarti?

Panfago. L’un di birro, l’altro di boia, il terzo di cerretano.

Forca. Come sei reale?

Panfago. Come zingano.

Forca. Bene. Come sopportaresti le corna?

Panfago. Cosí sopportassi la fame!

Forca. Come le bastonate?

Panfago. Cosí cosí.

Forca. Batteresti tuo padre?

Panfago. Mia madre ancora, e s’altro se può dir peggio.

Forca. Come sei amico della veritá?

Panfago. Come il can delle sassate.

Forca. Orsú, hai dato al segno del mio vóto: sei mille volte peggio di quel che vogliamo.

Panfago. Adesso vo’ essaminar io te: che cosa ho da fare?

Forca. Finger un raguseo e vender Pirino per schiavo.