Pagina:Della Porta - Le commedie I.djvu/147

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atto terzo 137


Mangone. Orsú via.

Pirino. «Siam, siam per via, guallá! siam, siam per via, guallá!».

Mangone. O ben, per vita mia! lo schiavo è cosí allegro e festevole, che mi fará viver dieci anni di piú: dispiacemi averlo promesso a Filigenio, che vorrei tenermelo per mio spasso. Ma poiché Melitea sta cosí disperata, Filace, va’ tu su, chiamala, che venga giú e veggia ballar e cantar questo schiavo che le rallegrará un poco li spiriti. Noi, galante uomo, entriamo in casa, ché vi darò i restanti danari, e faremo un poco di collazionetta, e berete una volta.

Panfago. Per non parer discortese alla prima con voi, se ben ho desinato poco anzi in nave, verrò volentieri, berrò una volta e due e quattro, se me lo comandarete.

Mangone. Filace, non levar gli occhi da Melitea, lascia che veggia ballar e cantare lo schiavo. Fra tanto tu da’ una scorsa con la vista intorno, ché non passi Pirino o Forca; e passando, falla entrar dentro, nascondila da loro quanto sia possibile. Noi entriamo.

Filace. Entrate sicuro e vegghiate con gli occhi miei.

SCENA III.

Melitea giovane, Filace, Pirino.

Melitea. (O Cieli, sonovi elle bastevoli le passate miserie? e mentre sarò viva, sarò sottoposta a’ crudeli arbitri della fortuna? Appena fui nata che fui privata del padre, della patria e della propria casa, e in strani paesi non è stato scontento o sciagura che non fusse da me provata assai disconvenevole al mio sesso e alla mia giovanezza; e sperando che il tempo partorisse a’ miei mali qualche rimedio, ecco fui fatta rapina di corsari e, sofferti pericoli del mare, son stata venduta per ischiava ad un furfantissimo ruffiano. E pur ciò sarebbe nulla, se amor non avesse voluto mostrar in me l’ultimo essempio della sua possanza, accendendomi d’alti e generosi pensieri in