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172 la carbonaria

e con i miei danari, quello era mio, e voi non avevate piú potestá sovra quello; e avendolo venduto, sará in vostro pregiudizio, perché avete venduto quello che non era vostro. L’error vi costerá caro. Andrò a’ superiori e mi farò far giustizia: forse sarete condannato agli interessi.

Filigenio. Dio me ne guardi! ecco i vostri danari.

Alessandro. Io non gli torrò per non far pregiudicio alle mie ragioni. Andrò a Sua Eccellenza, raccontarò il fatto: ella dará ordine di quello che ará a farsi. M’incresce nell’anima ch’abbia a venir con voi, che v’ho stimato mio padre e padrone, a termini cosí fatti.

Filigenio. O Iddio, che intrighi son questi ove mi trovo? Va’, Forca, e vedi se puoi far nulla.

Forca. Padron, perdonatemi, sète stato frettoloso a credere ed estimar vostro figlio e un amico come Alessandro, un assassino — ché l’uno vi fu sempre ubidientissimo e l’altro venti anni un buon vicino, — e me per un ladro, che v’ho servito venti anni fedelmente.

Filigenio. Eccoti i cento scudi: almeno non arò rimordimento di conscienza di aver fatto cosa con malizia. Togli anco questa catena d’oro che val quattrocento, e vedi si puoi rimediare.

Forca. Non lascierò tentar per ogni via, per amor vostro. Io vo.

Filigenio. Camina.

SCENA XII.

Dottore, Filigenio, Panfago, Muto.

Dottore. Fermati, Filigenio, non entrare ancora: avemo a trattare alcune cose insieme.

Filigenio. Pur hai animo comparirmi dinanzi, giuntatore: non vedo io che porti scolpita nella fronte la sfacciataggine?

Dottore. Che hai tu meco? vuoi esser forse il primo a gridare, per mostrar in un certo modo che abbi ragione o dar qualche color di giustizia alla tua ingiustizia?

Filigenio. Mi dai ad intendere che lo schiavo era la bagascia di mio figlio, ed era il figlio del re di Borno, qual con inganno m’hai tolto di mano per farlo essere decapitato?