Pagina:Della Porta - Le commedie I.djvu/224

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214 la fantesca


Panurgo. Pregheremo Alessio nostro amico, overo ne allogheremo alcune, se ci mancano.

Essandro. Qui bisogna prestezza, ché la ruina è vicina. Vai e ritrova il parasito e Alessio, e reca le vesti a casa tanto presto che quando io stimi che cerchi le cose, ti trovi a casa.

Panurgo. Me ne vo, dunque.

Essandro. Dove?

Panurgo. A casa, senza far altro, accioché quando stimi che cerchi le cose, mi trovi a casa.

Essandro. Burli? di grazia, vola.

Panurgo. Dammi l’ale, che volarò. Non dubitate, sarò io colá prima che voi. Ma prima vedrò se potrò trovar Alessio per le vesti.

Essandro. Io fra tanto farò il segno, poiché non è in fenestra. Fis, fis. La sento venire.

SCENA III.

Cleria, Essandro.

Cleria. Essandro, anima mia, mirate, di grazia, se per gli usci e per le fenestre sia alcuno che curi piú gli altrui che i suoi propri affari.

Essandro. Signora, giá potrete sicuramente comparire, ché non appar anima viva.

Cleria. Dolcissimo Essandro, io non vorrei, per essermi cosí volentieri condotta a ragionar con voi, vi cadesse nell’animo qualche sospetto della mia onestá: ché certo non mi sarei ridotta a questo termine, se non avessi fatto prima deliberazione di esser vostra; e se ben son in potestá di mio padre e a lui tocca disponer di me quel che ne vuole, pur se a me ne resta qualche particella, ve la dono tutta, né vo’ viver se non vostra.

Essandro. Né pensiate, signora, ch’io avessi avuto ardir di venir a ragionarle, se non avessi fatto fra me la medema deliberazione. Son troppo incomparabili le vostre bellezze, né il mio cuore sa arder se non per voi, né questi occhi sanno in altro specchiarsi se non in voi, lucidissimo mio sole.