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228 la fantesca

piú rabbiosa d’ogni cagna; — quando si partirá di casa, la goderò. Quel divenir maschio non posso pensar altro se non che la impregnarò d’un figlio maschio. Or me ne vo in casa, ché questa mattina mia moglie disse volersi partire; e il mio sogno ará effetto).

Santina. Fate che quel gatto rosso si castri, e se non potete, strangolatelo e buttatelo in un cesso, come merita; ché non vo’ che vada su per i coppi de’ vicini.

Gerasto. (Oimè, che tristo augurio è questo? non lo potea sentir da peggior bocca!).

Santina. Nepita, Nepita!

Nepita. Signora.

Santina. Vien qui. (Io non mi parto di casa mai ch’io non lasci Fioretta serrata in camera con mia figlia col chiavistello, accioché, venendo mio marito in casa e non vi essendo io, non mi facesse qualche burla).

Nepita. (La gelosia ha posto cento diavoli adosso a questa vecchia: mi chiama la notte e il giorno mille volte per saper Fioretta dove sia).

Santina. Come hai tardato tanto?

Nepita. Avea il pistone in mano, l’ho forbito e riposto.

Santina. Dove è Fioretta?

Nepita. In camera con Cleria.

Santina. (O sia benedetto Iddio! come sta volentier con mia figlia, non se le distacca da lato mai; però l’amo piú del dovere). E che fa?

Nepita. Lavorano insieme.

Santina. Lavora volentieri?

Nepita. È tanto gonfia di voglia e sta tanto col pensiero dritto a quel lavoro, che par non vorrebbe mai far altro; né si riposa se non va tutta in sudore.

Santina. Da vero?

Nepita. Adesso l’ha posto l’aco in mano, e fanno quel lavore del punto brisato: piglia un filo e duo ne lassa de fuori.

Santina. Digli ch’io trovi finito lo staglio quando ritorno.

Nepita. Non bisogna dircelo, ché giocano a chi piú fa. Ma