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atto terzo | 249 |
Narticoforo. Vo’ saper se stai con Gerasto.
Nepita. Se sto teco adesso, come posso stare con Gerasto? Vedete se siete da poco.
Granchio. Ah, ah, ah!
Narticoforo. Tu non intendi questo mio parlare che è pieno di figure e di ornamento oratorio, da’ Greci detto «schemata». Cicero in libro De claris oratoribus: «Schemata enim quae Graeci vocant, maxime ornant oratorem, eaque non tam verbis pingendis habent pondus, quam illuminandis sententiis».
Granchio. Questa è la via d’entrar presto in casa!
Narticoforo. E si scrive con «ae» diftongo, e vien da «schima» che si scrive con «ita».
Nepita. Voi dovete essere spiritato, che parlate in tanti linguaggi; ma io perdo qui il tempo, ché non avete altro che parole.
Granchio. Abbiam fatti per te.
Narticoforo. Ascolta, di grazia, la conclusione, talché a primo ad ultimum se ho detto se state in questa casa, ho voluto ornatamente inferire se sète incola di questa casa.
Nepita. Sí che che conclusione cavo io di questo?
Narticoforo. Questo «che che» è un «cacephaton», una cacofonia; ma dite piú ornatamente: — Che conclusione caverò io di questo? — L’altre parole sono superflue... .
Nepita. Parlate onesto, se pur vi piace, che vi devreste vergognare.
Narticoforo. In che ho peccato? ...
Nepita. Andate in bordello, vi dico, e innanzi quelle donne ragionate di questo.
Granchio. Certo, queste parole l’hanno guasto lo stomaco.
Nepita. Certo, che dovete essere un bel pappalasagni.
Narticoforo. Questo vocabulo «pappalasagni» non l’ho osservato né in Spicilegio né in Cornucopia né in Calepino. Granchio, tu che sai di zergo e di furbesco, dimmi, che vuol dire?
Granchio. Che sète un grandissimo letterato!
Narticoforo. (Deve esser donna di gran spirito, conosce alla ciera i valenti uomini). Diteme se Gerasto fusse in casa.