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atto quinto 295

SCENA VI.

Gerasto, Panurgo, Tofano.

Gerasto. Non posso cavarti di bocca una parola vera di questo fatto?

Panurgo. Certo, Gerasto, che voi non pigliate la cosa per il suo verso.

Gerasto. Che vuol dir che non piglio la cosa a verso? Tu non rispondi a proposito.

Panurgo. Che volete che vi risponda se non quello che sempre vi ho detto?

Gerasto. Che m’hai tu detto mai se non certe parole che l’una non attacca con l’altra?

Panurgo. Certo non è la cosa come pensate, vi dico.

Gerasto. O che tu mi fai rodere di rabbia! — La cosa non è come pensate..., non la pigliate a verso! — Io non posso cavar costrutto di quel che dici.

Tofano. (Se ben miro quell’uomo che parla con quel vecchio, è quello amico a cui Alessio mio padrone manda le vesti).

Gerasto. Che rispondi?

Panurgo. Dico che quando questa mattina... .

Gerasto. Non ti domando di questo, io.

Tofano. Gentiluomo, Alessio mio padrone vi manda le vesti che questa mattina gli chiedeste con tanta istanza; ...

Panurgo. (Oh, cancaro! questo è il servo di Alessio che porta le vesti). Sí, sí bene, t’ho inteso: tornale indietro e diteli ch’io lo ringrazio.

Tofano. ... che lo perdoniate se non l’ha potuto mandare piú presto; ...

Panurgo. Basta, vatti con Dio.

Tofano. ... che vi volevate vestir da dottore, ...

Panurgo. Vattene, che non servono piú.

Gerasto. Lascialo parlare, che te importa?

Tofano. ... ché volevate ingannar un certo medico.