Pagina:Della Porta - Le commedie I.djvu/307

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atto quinto 297

netta risorgi a suo dispetto! Il fatto è spacciato per me, non ci è piú rimedio).

Tofano. ... perché volevano disturbare certo matrimonio, e tutto ciò per far serviggio ad un giovane, vestito da fantesca, che faceva l’amore con la figlia di quel medico. Onde pregò caldamente il mio padrone, che si è affaticato tutto oggi per trovarle: l’abbiamo servito, e or ce le reco.

Panurgo. M’hai servito da vero e meriti la mancia!

Tofano. Mi volete dar la mancia che m’avete promesso, se vi avessi...?

Panurgo. Meritaresti un capestro che t’appiccasse, come non ti mancherá!

Tofano. Vi ringrazio della mancia e della buona volontá.

Panurgo. La volontá è conforme al tuo merito.

Tofano. Vi lascio.

Panurgo. Vattene col diavolo!

SCENA VII.

Gerasto, Narticoforo, Panurgo.

Gerasto. Ben, bene, queste cose se danno ad intendere a pari miei? Arpione, Tenente, Graffagnino, pigliate questo, legatelo, bastoneggiatelo ad usanza d’asino.

Narticoforo. Vi veggio, Gerasto, in gran travagli con costui.

Gerasto. Sappi, Narticoforo caro, che son stato tutto oggi aggirato per cagion di costui, il quale è stato fonte, origine e principio d’ogni garbuglio e d’ogni male.

Narticoforo. Ben, come si sta galante uomo?

Panurgo. Si sta in piedi.

Narticoforo. Sei o non sei tu? sei uno o sei alcuno?

Panurgo. Io non son io né mi curo esser io, né vorrei che alcuno fusse me.

Gerasto. Mira che faccia di avorio! mira che volto!

Panurgo. Mi par che con questo volto possa star dinanzi ad ogni grande uomo.