Pagina:Della Porta - Le commedie I.djvu/314

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304 la fantesca

posso onorarvi come si conviene, supplisca dal mio canto l’affezione. Narticoforo, mandáti a chiamar Cintio.

Narticoforo. Olá, togli questa crumèna, paga l’oste, che ti dii le valiggie, e mena teco Cintio in questa casa.

Panurgo. Vi chieggio una grazia, Gerasto, che possa baciar mio figlio, gli dia questa allegrezza e non lo facci piú disperare.

Gerasto. Eccovi la chiave; quella è la stanza terrena.

Apollione. Entriamo.

SCENA IX.

Panurgo, Essandro, Morfeo.

Panurgo. Essandro, padron mio caro, come state?

Essandro. Accompagnato da una amarissima compagnia di pensieri.

Panurgo. Non domandi di tuoi successi?

Essandro. Per allungar la speranza! Ma pur che novelle?

Panurgo. Cattivissime, maledettevolissime. Tu sei...

Essandro. So che vuoi dire: — Misero e serbato dal Cielo a crudelissime passioni!

Panurgo. Gerasto n’ha scacciati di casa, dato Cleria a Cintio; e or si fanno le nozze.

Essandro. Giá son caduto e morto!

Panurgo. Come?

Essandro. Tu parli cortelli e lancie; la tua lingua m’ha trapassata la gola come un pugnale.

Panurgo. S’è inviato a dir a Sua Eccellenza; e fatto tòrre informazione del successo, ha dato ordine che tu sii giustiziato.

Essandro. M’hai tornato vivo, ché non fu mai piú cara morte, perché d’ora innanzi arei sempre aborrita la vita.

Panurgo. Ascolta fin al fine.

Essandro. Non posso ascoltare, perché attendo al fatto mio.

Panurgo. Questi sono i fatti tuoi.

Essandro. I miei fatti sono annodarmi un capestro al collo e strangolarmi.

Panurgo. Ascolta, dico.