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370 la tabernaria


Pedante. Non fui io qui a prestolar questa mia figlia?

Tedesco. Voi non avete prestato figlie a me, ma sobole e bálice.

Pedante. La mia sobole e balia.

Tedesco. E tornaste a portar mule e giumente.

Pedante. Dissi: — Et alia muliebria indumenta.

Tedesco. Vui parlare con me d’une linguaggie turchesche, biscaino; e me nit intender.

Pedante. Mi dicesti che non v’erano donne, e mi serrasti le ianue nel volto.

Tedesco. E mi stare ancora mezze imbriaghe, facere brindese con mie compánie, e tutta la notte stare a scazzare.

Antifilo. Queste son cose da far diventar pazzo altro cervello che non è il mio! Voi parlate con tutti come se parlaste con i vostri scolari: questo è che vi fa cadere in molti errori; che nuovo genere di pazzia è questo?

Pedante. Io non vuo’ contaminare e imbastardire il mio mero ciceroniano eloquio, con il vostro vernaculo, della piú eccellente frase che si trova e ornato tutto delle figure di Ermogene.

Limoforo. Fate venir le donne.

Tedesco. Le donne mò venire. Bisogna pagar le ostellerie del vine che si ha bevute quell’imbriago e dell’alloggiamento delle donne.

Limoforo. Quanto debbiamo per questo?

Tedesco. Duie ducate per le vine bevute, mez ducate per la stanza delle donne e mez altre per il buon pro vi fazze.

Limoforo. Eccoli.

Antifilo. Maestro, come dite che vi sieno state trabalzate le donne, se le trovate nel luogo dove le lasciaste?

Limoforo. Non ci ha detto Lardone che Giacomino l’avea ricevute in casa sua, mettendo la sua casa in taberna?

Pedante. Io resto absorto e trasecolato: cose da insanire! Ma avendo la mia figlia, son compote d’ogni mio desiderio.

Antifilo. Certo, che saranno invenzioni di Cappio; ma pur che abbiamo le donne, non si parli piú del passato.