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372 la tabernaria

SCENA IX.

Giacomino, Pseudonimo, Pedante.

Giacomino. Una bugia ben detta è madre dell’inganno...

Pseudonimo. ... ed è sorella carnale del verisimile.

Giacomino. All’amante è lecito usar ogni inganno e astuzia per conseguir la sua amata.

Pseudonimo. L’inganno è tanto verisimile che non mi dispero della riuscita.

Giacomino. Veramente le donne sono mirabili nelle invenzioni cattive, come nelle buone non vagliono nulla; e meglio quelle che sovvengono all’improvviso che le studiate.

Pseudonimo. «D’inganno e di bugie si vive tutto il die, di bugie e d’inganno si vive tutto l’anno».

Giacomino. Di grazia, stiate in cervello che non andiamo per ingannar altri e noi restiamo gl’ingannati; ché l’inganno molto mi preme.

Pseudonimo. A me non sol preme ma m’opprime.

Giacomino. Pseudonimo, vedete quel vecchio vicino alla porta? quello è desso; accostatevi.

Pseudonimo. M’accostarò pian piano. Questa è la casa che m’è stata insegnata? Dimanderò costui; forse me ne dará contezza. O padrone!

Pedante. Hem, quid est? domine, quid quaeris? perché infixis oculis e con petulante obtúto mi guardate?

Pseudonimo. Se mi sapeste dar nuova d’un Tito Melio Strozza gimnasiarca.

Pedante. (Costui non potrá esser se non un gran letterato e mio devoto, sapendo il mio prenome, nome, cognome e officio). Quem quaeritis, adsum.

Pseudonimo. Voi dunque sète quel ch’io dimando?

Pedante. Quellissimo — un superlativo volgarizato.

Pseudonimo. O mia ventura che l’abbi trovato al primo.

Pedante. Che prestolate da me?