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64 la sorella


Attilio. O madre, quanto mi sarebbe stata cara la tua venuta, se a piú opportuno tempo venuta fosse.

Constanza. Figlio, non intendo che vogliate dire.

Attilio. Dico che in ogni tempo che voi foste venuta, fuor che in questo, la vostra venuta mi sarebbe stata oltre modo gratissima.

Constanza. (Mi pensava che benigna fortuna m’avesse condotta in porto, alla mia patria conducendomi; ma or da contraria tempesta mi veggio risospinta fuori: la mia venuta, che stimava che fosse desiosamente desiderata, la veggio esser scacciata con fastidio). Figlio, se il mio venir ti apporta qualche noia, di grazia fammene consapevole.

Attilio. Madre, la cagion di ciò non può raccontarsi senza fastidio; entrate in casa, ché è ben di ragione che avendo sofferta tanti anni la servitú di quei cani e tanti travagli nel viaggio, che vi riposiate; ma togliete a me ogni riposo, perché, entrando voi, ne cacciate me: sète voi fatta libera, per pormi in servitú: voi acquistate la patria, io perdo la patria e quanto possedeva. Né arei pensato mai che la vostra venuta fosse stata accompagnata da tanta amaritudine.

Constanza. Figlio, non mi trafissero mai tanto i morsi della servitú, quanto or mi trafiggono i vostri dispiaceri. Onde vi prego per quello amor, che è ragionevol che mi portiate, che mi manifestiate la cagione del disturbo; ch’io, cosí povera feminella come sono, sarò da tanto di tornarmene in Napoli e viver mendicando disconosciuta, per non darvi vergogna: ché, se ben la nobiltá nelle miserie fa risvegliar i spiriti generosi e signorili, con l’esser stata tanti anni schiava son spenti in tutto.

Attilio. Conosco, carissima madre, avervi offeso, e però mi vergogno manifestarlovi.

Constanza. L’offese de’ figli alle madri non passano la pelle: non sará mai tanto grande, che non sia vinta dall’affetto materno. Voi tacete? Manifestatela, figlio, che troverete quel che vi dico.

Attilio. Madre, se promettete di perdonarmi e di rimediarvi, ché di un male non se ne faccino molti, vi spiegherò il fatto come passi.