Pagina:Della Porta - Le commedie II.djvu/105

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«SEBETO FIUME» FA IL PROLOGO.

Oh che pompa, oh che grandezza, oh che superbo spettacolo è questo ch’oggi si rappresenta agli occhi miei! quando si vidde mai tanto ornamento di sí superbo apparato? Veggio gli alti palagi, i dorati tetti, le ornate logge e i sacri tempi della mia gran cittá ridotti in picciol seno, e d’una Napoli forse un’altra Napoli. Onde qui tanti lumi che non so se questo apparato sia asceso al cielo per arricchirsi delle sue stelle, o se le stelle del cielo sieno qua giú discese per illustrarlo? E se ben il sole è di sotto il nostro emisferio, qui nondimeno si vede in mille parti diviso, sí che par veramente che di bellezza egli contenda col cielo. Ma perché dico «lumi», se sono vivi smeraldi, infocati rubini e giacinti di dorato splendor fiammeggianti? o forse la primavera l’ha ornato col prato de’ suoi infiniti e vari fiori? O felici occhi miei, e quando vedeste voi mai in un ridotto tante illustrissime persone, quando tanta bellezza di donne? Veramente come l’Italia avanza tutto il mondo di pregio, cosí è ella avanzata dalle felici campagne dove risiede questa beata patria.

Ed ecco tutta la grandezza di Campagna chiusa in questo luogo; anzi quanto di pompa, di bello e di magnificenza possiede l’intiero mondo, tutto oggi si rinchiude in questa sala. Laonde se Venere con le sue grazie è discesa dal cielo per goder cosí onorata compagnia di gentildonne, le quali con lo splendor de’ lor occhi lucenti hanno fatto qui in terra un picciol cielo, se Marte con la sua gloria per sedersi fra questi illustri cavalieri, se Giove con la sua maiestá per starsi fra sí giustissimi senatori, se Mercurio con la sua eloquenza per aiutar sí nobilissimi rappresentatori che hanno oggi a recitarvi la favola; non vi debbia esser di maraviglia che vi compaia ancora il vostro Sebeto, picciol fiume e umile sí bene, ma glorioso e grande per bagnar solo le mura dell’alma cittá di Napoli. Ché, lasciando le mie fiorite sponde, l’erboso letto e l’onde piú chiare