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152 la cintia


Lidia. Orsú, Cintio mio, poiché voi affermate che cosí voi m’amate come v’amo io, e che i vostri amori non sono vani o lascivi ma da sposi, con licenza de’ nostri padri potremo sposarci insieme.

Amasio. Eccovi qui prontissima la mia fede d’esservi sposo e servo mentre vivo; però calate giú, anima mia, accioché la possiamo insieme stringere.

Lidia. Cintio mio, conosco ben quanto un innamorato è infido guardiano della sua amata, e principalmente quando conosce che sia amato da lei; però io non verrò costí, ché dubito anch’io non potermi contener ne’ termini dell’onestá.

Amasio. Ma che tradimento si porebbe imaginare maggiore che tradir sotto la fede?

Lidia. Temo: se mi assecurate con giuramento, verrò subito.

Amasio. Signora mia, questo richiedermi del giuramento è una occolta maniera di notarmi d’infedeltá: perché non posso mostrarvi se vi amo o no, perché, conoscendomi voi modesto, stimarete ciò faccia costretto dal giuramento.

Balia. Credegli, figlia, credegli, ch’io verrò teco in compagnia, ché non dandovi la fede cosí da presso non vi manterrá quanto v’ha promesso.

Lidia. Ecco, ne vengo a voi.

Dulone. (Non calar giú, Lidia, ché costui è un cattivello, e si t’ará le mani adosso, non so come andrá la cosa poi).

Amasio. (Amasio, non perderti d’animo, desta in te stesso l’ardire: ché se mi scappa questa ventura dalle mani, mi morrò di dolore, avendo lasciato di far cosí bell’opra).

Lidia. Eccovi la mia fede.

Amasio. Vita dell’anima mia, la fede senza il bacio non val nulla.

Lidia. Questo è stato soverchio; orsú, tiratevi indietro, ché è mal cosa star l’esca appresso al foco. Dove mi spengete? di grazia, non fate oltraggio all’onor mio.

Amasio. Non sète voi mia moglie? non posso far di voi quel che mi piace?