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atto quarto 163


Erasto. Vi prego che voi tacciate: lasciate ragionar a me primo, che forse vergognandosi della vostra presenza non volesse accertarlo.

Pedofilo. Farò come volete. Eccola che giá viene.

SCENA IV.

Amasio, Fedofilo, Erasto.

Amasio. Che comandate, mio padre?

Pedofilo. Ascolta quel gentiluomo che dice.

Erasto. Amasia, mia carissima sposa, or è gionto quel tempo cosí desiato da voi, cioè di tôrci questa maschera dal volto e non aver a viver piú di nascosto. Ho raccontato a vostro padre tutto quello ch’è passato tra noi; non ci manca altro, solo che l’accertiate di bocca vostra.

Amasio. Che sposa, che sposa? che hai tu raccontato a mio padre? ma che cosa di nascosto è passata tra noi?

Erasto. Vita mia, lo sai meglio di me: che siamo sposati di nascosto, giaciuti insieme e che v’ho resa gravida.

Amasio. Io tua moglie? tu giacesti meco? io di te gravida?

Erasto. Anima mia, perché lo nieghi?

Amasio. Lo niego perché è una menzogna espressa!

Erasto. Voi avete fatta la faccia rossa e vi vergognate: non è piú tempo di vergogna, perché sète giá mia moglie.

Amasio. Tu mi fai vergognar da dovero, e bisognarebbe veramente esser senza vergogna perché non arrossisse. Io mi vergogno che si trovi uomo cosí senza vergogna che mi venga innanzi con queste favole! Ma dubito che tu sia cosí senza vergogna come senza cervello.

Erasto. E perché senza cervello, vita mia?

Amasio. Perché altri che un senzacervello non potrebbe dir queste cose. Quando mi hai tu veduta o parlato prima, che mi vieni cosí sfacciatamente dinanzi a ragionarmi di cose cosí sfacciate?