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256 gli duoi fratelli rivali


Don Flaminio. Fortuna traditora, se tu volgi le spalle una volta, non volgi piú la faccia.

Leccardo. Anzi la fortuna s’è incontrata con te senza saper chi fussi, e tu senza conoscerla ti sei incontrato con lei.

Don Flaminio. Che m’apporti?

Leccardo. Le vesti, le gioie e l’istessa Carizia: piú di quel che m’hai chiesto e sapresti desiderare.

Don Flaminio. Perché dicivi di no?

Leccardo. Per farvi saper la nuova piú saporita; ché si t’avessi detto cosí il tutto alla prima, non ti sarebbe piaciuta. Non solo aremo da Chiaretta quanto vogliamo; ma m’è venuto fra’ piedi quel capitano balordo, innamorato di Calidora, il qual ci servirá molto a proposito, di modo che ci si trovará gentilmente beffato e vostro fratello tradito.

Don Flaminio. Da cosí buona fortuna fo argumento che la cosa riuscirá assai netta. Conosco il capitano; ma come si sentirá beffato da te, ti fará una furia di bravate.

Leccardo. Ed io una furia di bastonate.

Don Flaminio. Leccardo mio, come arò per tuo mezo conseguito il mio bene, arai sempre la gola piena e ornata di catene d’oro.

Leccardo. Purché non rieschino in qualche capestro!

Don Flaminio. Che resta a far, Panimbolo?

Panimbolo. Come il fratello vi dará la nuova, mostrate non sapere nulla. Dilli che sia disonesta. Tu, Leccardo, tieni in piedi la prattica della fantesca, ché noi ti avisaremo di passo in passo quanto è da farsi.

Leccardo. Raccomando alla fortuna la vostra audacia.

Panimbolo. Abbi cura spiar se don Ignazio prepara alcuna cosa.