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290 gli duoi fratelli rivali


Eufranone. Ed io per genero vi accetto e per figliuolo.

Don Flaminio. Concedetemi che vi baci la mano se ne son degno; se non, i piedi.

Eufranone. Alzatevi, signor don Flaminio, ché la vostra soverchia creanza non facci me malcreato: ardisco abbracciarvi perché me lo comandate.

SCENA II.

Don Ignazio, don Rodorico, don Flaminio, Eufranone.

Don Ignazio. Intendo, signor don Rodorico, che per accomodar il fallo di don Flaminio l’avete ammogliato con l’altra sorella.

Don Rodorico. Io per non partirmi dalle leggi del giusto e per non veder la disperazion di tuo fratello, mi è paruto accomodarlo in tal modo.

Don Ignazio. Ma non vuol la legge del giusto che per accomodar uno si scomodi un altro.

Don Rodorico. A chi ho fatto pregiudizio io?

Don Ignazio. A me, a cui la rimasta sorella si convenia per piú legittime ragioni.

Don Rodorico. Per che ragioni?

Don Ignazio. Prima, avendo io ingiuriato Eufranone, a me tocca la sodisfazione togliendo io la rimasta sorella, ed egli allor sará reintegrato nel suo onore. Appresso, restando io offeso da’ suoi inganni e vituperevoli frodi, a me tocca disacerbarmi il dolore con le nozze dell’altra sorella; ché niuna bastarebbe a farmi partir dal cuore la bellezza, onestá, maniere e tante maravigliose parti di Carizia, che sua sorella. Egli, che con tanta sceleratezza ha turbato il tutto, sará rimunerato; ed io verrò offeso, che ho operato bene. Né convien ad un occisor della sorella che divenghi marito dell’altra; e avendomi tolto la prima moglie, non è convenevole che mi toglia la seconda; e tante e tante altre raggioni, che se volessi dirle tutte non si verrebbe mai a capo.