Pagina:Della Porta - Le commedie II.djvu/309

Da Wikisource.

atto quinto 297


Carizia. Veramente avea cosí deliberato per non aver a trattar piú con uomo, poiché era stata ingiuriata e rifiutata dal primo a cui avea dato le premizie de’ mia amori e i primi fiori d’ogni mio amoroso pensiero.

Don Ignazio. Deh! signora della mia vita, poiché sei mia, fammi degno che ti tocchi; e no potendoti ponere dentro il cuore, almeno che ti ponga in queste braccia. Io pur ti tocco e stringo; donque io son vivo. Ma oimè, che per lo smisurato contento par che sia per isvenirmi! i spiriti del core, sciolti dal corpo per i meati troppo aperti per lo caldo dell’allegrezza, par che se ne volino via, e l’anima abbandonata non può soffrir il corpo, e il corpo afflitto non può sostener l’anima: mi sento presso al morire. Ma come posso morire se tengo abbracciata la vita? O cara vita mia, quanto sei stata pianta da me, dal tuo padre, fratello e zio mio, e da tutto Salerno!

Carizia. Donque mi spiace che viva sia, essendo onorate le mie essequie da persone di tanto conto.

Don Ignazio, Ecco, o vita mia, hai reso il cor al corpo, lo spirito all’anima, la luce agli occhi e il vigore alle membra.

Don Flaminio. Ecco, o signora, l’infelicissimo vostro innamorato gettato innanzi a’ vostri piedi, quale, spinto da un ardentissimo amore e gelosia, con falsa illusione per ingannar il fratello, ha offeso ancor voi. E arei offeso e tradito anche mio padre e zio e tutto il parentado insiememente per possedervi, tanto è la vostra bellezza e pregio delle dignissime vostre qualitadi, degne d’essere invidiate da tutte le donne; ma il disegno sortí contrario fine. Ma chi può contrastar con gli inevitabili accidenti della fortuna? Vi prego a perdonarmi con quella generositá d’animo, eguale all’alte sue virtú, offerendomi in ricompensa, mentre serò vivo, servir voi e il vostro meritevolissimo sposo.

Carizia. Signor don Flaminio, a me i travagli non mi son stati punto discari, perché da quelli è stato cimentato l’onore e la mia vita. Questo sí m’ha dispiaciuto: che la mia infelice bellezza, che che ella si sia, abbi data occasione di turbar un’amorevolissima fratellanza di duo valorosi cavalieri.