Pagina:Della Porta - Le commedie II.djvu/352

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340 lo astrologo

contro la nostra volontá, con dir che avendoci vestite di queste membra è forza che siamo ubidienti. E triste noi se una sola parola li rispondiamo in contrario! siamo le presontuose, sfacciate e col capo pieno di grilli! E cosí, non essendo il marito a nostra volontá, bisogna che stiamo sempre in discordi voleri e in una perpetua guerra; e però non dovrebbono dolersi, se ne togliemo uno a lor piacere, ce ne togliamo uno a nostro gusto.

Sulpizia. Che legge è questa d’aver fondato l’onore nelle azioni di noi povere donnicciuole? dove gli uomini, per essere piú savi e di maggior forza per fare resistenza a’ loro appetiti, si sfogano le loro amorose passioni, si procacciano sempre nuovi trastulli con diverse donne, commettendo adultèri e stupri a lor modo; e se di noi meschine s’avveggono di qualche cenno o ambasciata, subito: — Scanna, uccidi, ammazza; spade, pugnali, coltelli! — Che legge maladetta è questa!

Artemisia. Eh, sorella, queste leggi se le han fatte gli uomini a lor modo; se toccasse a noi, ce le faressimo al nostro. Ma assai siamo noi infelici per ora: senza che andiamo rammemorando le nostre sciagure, ragioniamo di altro. Ditemi di grazia, se parlate mai di me col vostro fratello.

Sulpizia. Sempre di voi.

Artemisia. Che dice su questo fatto?

Sulpizia. Bestemmia la sua sorte crudele, i pazzi umori di suo padre, e si consuma in lamenti, in dolori. Ma Lelio, quando li parlate di me, che risponde?

Artemisia. Lagrime e sospiri; e credo ben che se Amor non lo aiuta in questo estremo punto, che saranno brevi i giorni suoi.

Sulpizia. Di grazia, raccomandatemi a lui.

Artemisia. Ed il medesmo vi prego che facciate di me al vostro.