Pagina:Della Porta - Le commedie II.djvu/383

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atto quarto 371


Armellina. Ditemi, è giovane?

Vignarolo. È giovane.

Armellina. Ditemi chi è, presto.

Vignarolo. Il vignarolo.

Armellina. Forsi quel vignarolo di Pandolfo? perché l’amo quanto la vita e ne sarei contentissima.

Vignarolo. Quello è desso, quello son io.

Armellina. Voi sète quello? se sète Guglielmo, come sète lui?

Vignarolo. O bestia! — dimmi. Quello, dico io; ma io son Guglielmo.

Armellina. Io son innamorata di quel vignarolo e mi moro per lui.

Vignarolo. Desideri vederlo?

Armellina. Quanto la vita.

Vignarolo. Che pagaresti a chi te lo facesse vedere?

Armellina. Me stessa.

Vignarolo. Se vuoi tenermi segreto, io te lo farò veder mò.

Armellina. Eccoti la fede.

Vignarolo. Io son il vignarolo.

Armellina. Voi volete burlarmi; sète Guglielmo.

Vignarolo. Se non sono il vignarolo, mi possino mangiare i lupi e sia trovato in mezzo al bosco a suon di mosconi! Ma tu ridi?

Armellina. Rido del desiderio che ho di vederlo.

Vignarolo. Ti dico che, vedendo me, tu vedi lui.

Armellina. E pur io vi dico che, veggendo Guglielmo, veggio voi e non il vignarolo.

Vignarolo. Oh sia maladetto quando mi trasformai! Io sono Guglielmo di fuori ma di dentro sono il vignarolo, ché un certo astrologo mi ha trasformato.

Armellina. Voi volete far la burla.

Vignarolo. Mi è innodata tanto la lingua che non posso parlare. Vorrei disfarmi e non posso, vorrei dar della testa nel muro per tornar quello che era prima. Or sí che questa è una disgrazia mai piú veduta! Ti dico, Armellina mia, che dentro sono il vignarolo.