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atto terzo 41

SCENA III.

Sennia vecchia, Olimpia, Lampridio.

Sennia. O Eugenio pianto e sospirato sí lungo tempo!

Lampridio. O Sennia madre, che l’odor del sangue mi ti fa conoscere per madre!

Sennia. Olimpia, abbraccia il tuo fratello: come stai cosí vergognosa?

Lampridio. O sorella, dolcissima anima mia!

Olimpia. O amato piú che fratello, non conosciuto ancora!

Sennia. Io tutta ringiovenisco e in avervi cosí subito acquistato, figliuol mio, panni che t’abbia or partorito. Mira, Olimpia, come nel fronte e negli occhi ti rassomiglia tutto.

Olimpia. Il resto dovea assomigliare a suo padre.

Sennia. Non pigliar a tristo augurio, figliuol mio, ch’io pianga, ché l’allegrezza ch’io sento di tua venuta, tanto piú cara quanto men la sperava, mi fa cader le lacrime dagli occhi.

Lampridio. O madre, io ancora non posso tenermi: sento il cuor liquefarsi di tenerezza. Raguagliami: è viva Beatrice mia zia di che molto si ricordava Teodosio mio padre?

Sennia. Vive e si sta maritata in Salerno molto ricca.

Lampridio. Eunèmone suo fratello come vive?

Sennia. Son dieci anni che si morio.

Lampridio. Duolmi di non poterlo veder vivo. Ditemi, mia sorella Olimpia è maritata?

Sennia. L’abbiamo giá per maritata e questa sera abbiamo destinata alle sue nozze: aremo doppia allegrezza.

Lampridio. Poiché non è maritata fin adesso, lasciate che ancor io ne abbi la parte della fatica: me ne informerò di costui, poi informerò bene mia sorella del tutto.

Olimpia. Mi contento che mio fratello facci di me ciò che gli piace.

Sennia. Prima che entriate in altro ragionamento, parmi venghiati a riposarvi, ché per la fatica grande ch’avete sopportata la notte e il giorno stimo che non possiate regervi in piedi.