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60 l’olimpia

SCENA V.

Lampridio, Mastica, Teodosio, Eugenio.

Lampridio. Chi son questi che stanno dinanzi la porta nostra?

Mastica. Son poveretti che devono dimandare la elemosina.

Teodosio. Olá, o di casa!

Mastica. Che batti? vuoi tu spezzar questa porta?

Teodosio. È forse tua madre, che temi che sia battuta?

Mastica. Non ti morrai di fame tu per non essere importuno e prosontuoso.

Teodosio. È importuno e prosontuoso chi batte le porte di casa sua?

Mastica. È dunque questa la casa tua?

Teodosio. Dimmi prima se questa è la casa di Sennia.

Mastica. Questa è la casa di Sennia: è per questo la tua?

Teodosio. Io son Teodosio suo marito che sono stato venti anni in man di turchi, e or scampato la Dio mercè dalle lor mani me ne ritorno a casa mia.

Lampridio. (Mastica, costoro son quelli che manda il capitano, che poco anzi mi dicesti).

Mastica. (Quelli sono certissimo, ah ah! non ti accorgesti che subito veggendoci fuggiro via?).

Lampridio. (Racconta il fatto a Sennia e digli che venghi a tôrsi un poco spasso di fatti loro).

Teodosio. O di casa! Tic, toc.

Lampridio. Fermatevi, non battete, che or ora verrá qua Sennia tua moglie. (Non posso tener le risa in vedergli cosí ben travestiti. Dal natural certo. Vedrò se sapran fingere come io ho fatto).

Teodosio. Rallegrati, Eugenio mio, ch’or vedrai la tua madre e tua sorella. Oh con quant’allegrezza ci riceverá e bacierá! penso si dileguará dall’allegrezza.

Eugenio. Mi par ogni momento mill’anni d’incontrarci insieme.