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DELLE DONNE 237

o che viveano affatto al di fuori del mondo d’allora1, le altre non hanno più l'antico aspetto di esercitazioni ed amenità accademiche, ma di serie proposte di sociale riforma. Né più vi si trova traccia dell'antica tesi della femminile eccellenza e superiorità, ma già vi si comincia a propugnare pacatamente la tesi nuova, la tesi dell'avvenire, quella cioè della differenza e dell'equivalenza dei due sessi, e del diritto non solo delle donne, ma del sociale interesse, a che i pregi propri della natura femminile si svolgano in tutta la loro ampiezza e varietà col mezzo di una migliore educazione, e di leggi più giuste. Anche la cortigianeria degli antichi filogini, veri cavalieri serventi letterari delle donne patrizie, è scomparsa affatto nelle scritture cui alludo, le quali furono certamente ispirate in buona parte da quella corrente democratica, che già spirava di

    Galiani, Paris 1818, vol. 1, p. XXI), non occupa più di 18 pagine (ib. p. LXXXV-CII), e consiste nello svolgimento della tesi che la donna: è un essere naturalmente debole e malato, il quale, quando cessa di essere tale, diventa un essere nullo. Si vede che la tesi della donna malata è molto anteriore al Michelet, e si può anche soggiungere che né il Michelet né altri propugnarono siffatto paradosso con tanta maestria quanta il Galiani nelle poche pagine, per non dir righe, che vi ha destinato (V. ib., p. LXXXIX, LXXXX). Nella stessa categoria di scritture parmi di poter annoverare I dì geniali o Della dialettica delle donne ridotta al suo vero principio, di anonimo autore (Bologna 1771). Vi è sostenuta la tesi che «la donna pensa di una maniera singolare e tutta sua». Dopo avere sostenuto contro i materialisti che «gli animi umani sono tutti della medesima tempra» (p. 30), l'autore ricerca la ragione delle peculiari tendenze e attitudini dell’ingegno delle donne nella fisica struttura di queste, e dopo avere scartata l'ipotesi che sia tale la maggior picciolezza del cervello femminile (p. 79), finisce col riporla nell'utero e nella intima colleganza di questo con tutti i movimenti e le operazioni della natura femminile (p. 99 e seg.), affermando che all'influenza dell’utero è dovuta la concupiscenza e l'incostanza, caratteristiche dell'animo e della mente delle donne (p. 108), le quali in tutte le cose cercano il diletto, e sempre nuovi diletti (p. 1 12), epperò non sono idonee «a quelle cose che dimandano un criterio puro e un sistema costante (p. 114). Dottrina codesta che è rimasta in onore presso molti anche ai nostri giorni, e che fors'anco lo era già quando comparve l’opuscolo menzionato.

  1. Per esempio il buon abate Francesco Bordoni stimava ancora necessario confutare nel 1703 la tesi dell'Acidialius (v. sopra, p. 219) in un'operetta intitolata: Advocatus mulierem (contra quemdam hæreticum) quæ probantur de specie hominum, Passionis Christi ac æternæ salutis participes (Parma 1703, Monti).