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44 DELLA CONDIZIONE GIURIDICA

Epperò la filosofia giuridica e politica non può dirsi neppure che sia stata coltivata dai Romani; essi furono al disopra di tutti gli altri popoli nella razionalità e nella opportunità delle istituzioni giuridiche e politiche, ma appunto bastava a loro che ogni cittadino aderisse a quelle istituzioni per virtù di evidenza, nascente da fatti che ciascuno aveva dinanzi ai propri occhi. Quanto alle donne in particolare, le idee e le istituzioni romane furono, specialmente nei tempi migliori della Repubblica, molto superiori alle greche. 11 concetto della uguaglianza

di dignità e di diritti fra i due sessi, gettò ben presto radici profonde nell'animo e nelle istituzioni dei Romani, sicché rimase poi retaggio indistruttibile della civiltà italica. I loro scrittori non ispecularono gran fatto intorno al fondamento di tale concetto, ma ne resero non meno frequenti e solenni testimonianze, di quello che ne rendessero le stesse istituzioni e abitudini nazionali. Così p. es. Cicerone nella Repubblica si dimostra fautore dell'uguaglianza civile fra i due sessi là dove dichiara ingiusta la legge Voconia, che escludeva le donne dalle più pingui eredità testamentarie, e la dichiara legge fatta nell’interesse esclusivo degli uomini1, e là dove dice che invece di un tutore alle donne, converrebbe un censore agli uomini, che loro insegnasse il modo di ben governare le mogli2. Cornelio Nipote vanta la civiltà romana sulla greca, perchè quella consente alle madri di famiglia il primo luogo nella casa e nella considerazione, mentre questa le esclude dai conviti e le rilega nel gineceo3. Seneca proclama non essere minore nel marito che nella moglie il diritto alla coniugale fedeltà4. Bensì non credevano i Romani che la sfera d'atti-

  1. De Rep., lib. III, cap. VII. Quæ quidem ipsa lex, utilitas virorum gratia rogata, in mulieres plena est injuriæ.
  2. Ib., lib. IV, cap. VI. Nec vero mulieribus præfectus præponatur, qui apud Græcos creari solet; sed sit censor, qui viros doccat moderari uxoribus.
  3. Corn. Nep., Præf.
  4. Scio improbum esse qui ab uxore pudicitiam exigit, ipse alienarum cor-