Pagina:Della condizione giuridica della donna.djvu/68

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62 DELLA CONDIZIONE GIURIDICA

satte le osservazioni di vario genere1, egli loda nelle donne la naturale pudicizia, la perfezione della bellezza umana, la maggiore influenza sulla generazione, e sulla trasmissione delle facoltà morali e intellettuali alla prole, la maggior pietà e misericordia, la naturale perizia del medicare, la facilità e la efficacia del discorrere, la minore propensione ai delitti, la maggior castità, per cui la poligamia fu tanto più frequente della poliandria, la maggiore osservanza dei coniugali doveri2, la religiosità, l'abnegazione e il coraggio con cui le donne seppero confessare e propagare la fede cristiana, la idoneità dell'ingegno e dell'animo femminile a tutte le gesta degli uomini, sia nella scienza sacra e profana, sia nella eloquenza, nella poesia, nella giurisprudenza, nell'aritmetica, nella musica, nella medicina e nella politica. Se le donne, dice l'Agrippa, anticipando una dottrina di due secoli dopo, sono il più delle volte inferiori agli uomini, ciò dipende unicamente dall'aver il maschile arbitrio ed egoismo disconosciuto e soffocato la natura. «Dacché la donna è nata, la si tiene in casa dedita soltanto ai lavori che si dicono donneschi, come se di ogni altra occupazione fosse incapace. Giunta alla pubertà, la si affida ad un marito geloso, oppure la si rinchiude in un ergastolo di vestali. Da ogni pubblico ufficio le donne sono escluse; non possono adire i tribunali; neppure se prudentissime, non sono equiparate agli uomini nella giurisdizione, nella adozione, nella intercessione, nella procura, nella tutela, nella cura, nel testamento e neppure nelle cose criminali. Le si escludono persino dalla predicazione della parola divina..... Avvinte da tante e cosiffatte

  1. Per es., dalla lunghezza delle chiome, che custodiscono la pudicizia, dall'assenza di calvizie, dalla minor facilità della pelle femminile a macchiarsi, dal più rapido svolgimento della facoltà generalità, dalle virtu terapeutiche del sangue mensile.
  2. Non enim nisi malis maritis malæ uxores sunt, quibus licet bonæ aliquando exeniant, sæpe corumdem vitio corrumpuntur.