Pagina:Della congiura di Catilina.djvu/13

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10 c. sallustio crispo

di robusto senno a trattare i pubblici affari; e alla eta loro, o alle paterne lor cure alludendo, Padri chiamavanli. Ma i Re, da principio custodi della libertà, e promotori della Repubblica, fattisi dappoi superbi e tiranni, Roma cangiava il governo; elesse ogni anno due capi, stimando in tal guisa frenar la licenza, per cui suole insolentire chi regge.

VII.


Allora ben tosto innalzaronsi gli animi, si assottigliaron gl’ingegni. Che ai Re, non insospettiti mai de’ cattivi quanto del buoni, l’altrui virtù si fa sempre terribile. Maraviglia a narrarsi, quanto Roma, ottenuta la libertà, in breve crescesse: cotanto era invasa dalla brama di gloria. La gioventù, appena dell’armi capace, colle fatiche e l’esercizio addottrinandosi andava nel campo: nè di banchetti e dissolutezze dilettavasi, ma di lucide armi e di cavalli guerrieri. Quindi a sì maschi animi nessuna fatica era insolita, nessun luogo era aspro nè scabro, nessun nemico tremendo: ogni cosa avea doma il valore. Ma immensa fra essi di gloria la gara. Ciascuno, ferire il nemico, le mura assalire, e da tutti essere in tal atto osservato studiavasi, ciò ricchezza, ciò fama, ciò somma nobiltà riputando. Di lode assetati, larghi del danaro, massima voleano la gloria, discrete le facoltà. Rimembrerei, dove pochi Romani sconfiggessero moltissime torme nemiche; quali citta per natura fortissime espugnassero: ma ciò dal proposito mio troppo svierebbemi.

VIII.


Fortuna signoreggia ogni popolo, ed a capriccio suo, non a ragione, lo illustra o l’oscura. Atene, a parer mio, cose bastantemente grandi e magnifiche operava; minori però della fama d’alquanto: ma ricca di scrittori sommi, vennero quindi nel mondo celebrati i suoi fatti per sommi. Tanta si reputa di quegli Eroi la virtù, quanta di que’ begli ingegni fu l’eloquenza. Ma Roma tal copia di scrittori non ebbe: che qual più saggio v’avea, più affaticante mostravasi; nessuno v’adoprava senza la mano l’ingegno; ogni ottimo voleva anzi fare, che narrare; e che altri i suoi fatti lodasse, anzi ch’esso gli altrui.<section end="8>