Pagina:Della consolazione della filosofia.djvu/121

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PROSA TERZA.

Vedi tu dunque in quanto fango le sozze e ree opere si rivolgano, e di che luce la bontà splenda? Nella qual cosa è chiaro che ai buoni i lor degni meriti, a’ rei mai non mancano i lor supplizii; perchè delle cose che si fanno, quello per cui cagione si fa ciascuna cosa, può e non a torto parere che di lei sia il guiderdone, come a chi corre nell’aringo la corona, per la quale egli corre, è posta per guiderdone; ma la beatitudine esser quello stesso sommo bene, per lo quale tutte le cose si fanno, dimostrato abbiamo. Dunque a tutte l’opere umane è come un guiderdone comune proposto il sommo bene, e questo non si può da’ buoni separare, perchè non si chiamerà più buono uno con ragione, che manchi del bene; per la qual cosa i costumi buoni mai da’ lor premii abbandonati non sono. Incrudeliscano dunque i cattivi, e facciano male quanto a lor piace; non perciò cade all'uom savio, nè si seccherà il suo pregio e la sua ghirlanda, perchè l’altrui malvagità non toglie agli animi buoni il loro proprio ornamento. Or, se quel savio s’allegrasse di cosa ricevuta di fuori, poteva alcuno altro, o quello stesso che data gliel’avesse, torgliela; ma perchè il proprio ornamento dà a ognuno la propria bontà, allora mancherà del suo pregio ciascuno quando resterà d’essere buono. Alla fine, conciosiachè ogni premio perciò si desideri perchè egli esser buono si dice, chi giudicherà colui, il quale ha ottenuto il sommo bene, non esser partecipe del premio? E di qual premio? dissi io. Di quello, rispose,