Pagina:Della consolazione della filosofia.djvu/14

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PROSA QUARTA.

Intendi tu, disse ella, queste cose? sentileti tu scorrere al cuore, e fermare nell’animo? o pure sei, come dicono i Greci per proverbio, quale è l’asino al suono della lira? Che piangi tu? di che versi tu tante lagrime? Confessami i tuoi mali, e non gli mi celare. Se tu vuoi che io ti possa guarire, bisogna che tu discuopri le piaghe tue, e porti il tuo male in palma di mano. Allora io, fatto rôcca del cuore: Hai tu bisogno, risposi, che ti siano detti i mali miei? non è egli assai conto per sè medesimo quanto mi sia la fortuna e crudele e avversa? non ti commuove punto il vedermi nel luogo dove tu mi vedi? Ora è questa la libreria, la quale tu medesima t’avevi nelle nostre case per certissima sedia scelta e eletta, nella quale sedendo spesse volte con esso meco disputavi della scienza delle cose così umane, come divine? Parti che io avessi tale abito e così fatta cera, quando insieme con teco andava i segreti investigando della natura? quando tu coll’astrolabio il corso delle stelle mi dimostravi? quando i costumi e tutta la mia vita ad esempio formavi e similitudine dell’ordine celestiale? Sono questi i premii e quei guiderdoni che noi per ubbidirti ne riportiamo? E pure tu stessa ne pronunziasti per la bocca di Platone, e confermasti questa sentenza: allora finalmente dovere le repubbliche essere felici, quando o coloro che sono filosofi fossero posti al governo delle repubbliche, o quegli che le governano si dessero agli studii della filosofia: tu per la bocca del medesimo n’avverasti esser neces-