Pagina:Della consolazione della filosofia.djvu/6

Da Wikisource.
6

Oimè sventuroso, oimè lasso!
     Quanto è sorda la morte a chi la chiama,
     24D’ogni ben privo e d’ogni speme casso!
Mentre io felice avea di viver brama,
     Spense quasi mia vita acerba morte,
     27Ch’or tanto, indarno, il cor misero brama.
Perchè beata sì spesso mia sorte
     Chiamaste, amici, s’era tanto infermo?
     30Chi cadde al fondo in sì poche ore e corte,
Non ebbe il piè giammai stabile e fermo.


PROSA PRIMA.

Mentre che tacito meco medesimo queste cose riandava, e che a piagnere colla penna e lamentarmi m’apparecchiava, mi parve che sopra il capo mi fosse una Donna apparita, degna di molta reverenza nell’aspetto, con occhi ardenti, e che molto più di lontano scorgevano, che gli uomini comunemente scorgere non possono. Era il suo colore vivace molto, ed ella d’un certo vigore da non dover mai venir meno; avvengadiochè tanti anni mostrasse, che in niuno modo si poteva credere che fosse di nostro secolo. La sua statura, per lo essere ella variabile, non si poteva determinatamente giudicare quanta fosse. Conciosiacosachè questa Donna si ristrigneva talora in guisa, che non passava la comune misura d’un uomo; e talvolta si distendeva in modo, che pareva che ella col cucuzzolo del capo toccasse il cielo: ed alcuna fiata, quando voleva levarsi più alto, trapassava esso cielo; di maniera che coloro, i quali la volevano guardare, non potevano. Aveva le sue vestimenta di fila sottilissime, e con maraviglioso artifizio, e d’una materia indis-