Pagina:Della consolazione della filosofia.djvu/66

Da Wikisource.
66



PROSA SECONDA.

Allora ella, bassati alquanto gli occhi e quasi nella santa sedia della sua mente raccoltasi, così cominciò: Tutta la sollecitudine de' mortali, la quale per molti e varii studii fatica, sebbene procede per diverse vie, si sforza nondimeno di pervenire a un fine solo, cioè a quello della beatitudine; e la beatitudine non è altro che quel bene, il quale acquistato che alcuno ha, egli non può desiderare più oltra cosa nessuna: e questo bene è senza alcun dubbio il primo e più alto di tutti i beni, e quello il quale contiene in sè tutti gli altri; perchè, se gli mancasse cosa nessuna, egli non sarebbe il primo e più perfetto, posciachè fuor di lui rimarrebbe alcuna cosa da potersi desiderare. È dunque manifesto che la beatitudine è uno stato perfetto, nel quale sono tutti i beni ragunati. Questo cotale stato brigano di conseguire tutti i mortali, come abbiamo detto, ma per diverse vie, perciocchè nelle menti degli uomini è naturalmente il desiderio del vero bene innestato; ma l'errore, che gli mena fuor di strada, gli travía a' beni falsi. Onde credendo alcuni che il non abbisognare di cosa nessuna sia il sommo bene, solo per abbondare di ricchezze s'affaticano. Altri, giudicando che il più degno bene consista nell'essere onorato, s'ingegnano di farsi, mediante i magistrati e dignità, riguardevoli e degni d'onore appresso i loro cittadini. Nè mancano di quegli, i quali pongono la somma felicità nel potere assai; e questi tali o vogliono regnare essi, o cercano d'accostarsi a coloro che regnano.