Pagina:Della geografia di Strabone libri XVII volume 1.djvu/37

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ALLA GEOGRAFIA DI STRABONE 23

impudentissima menzogna. Pure chi crederemo? Plinio, o le stesse parole di Pilea, le quali ne son conservate testualmente da Gemino. «A questi luoghi pare che andasse eziandio il marsigliese Pitea». Die’ egli adunque pei luoghi intorno all’Oceano ov’egli andò. «Mostravanci i barbari dove il sol dorme; perciocché accadeva circa quei luoghi che la notte fosse del tutto piccola, quando di due, quando di tre ore, in guisa clic breve intervallo dopo il tramonto sorgeva subito il sole (132)».

E notisi, che Gemino parlando progressivamente della diversa lunghezza dei giorni, secondo la diversità dei climi, si riduce anche a dire del giorno semestrale, e quivi non riferisce di veruno il nome. «Oltre v’ha certa regione, che verso settentrione giace, in cui il polo sovrasta verticalmente. Appo loro il giorno più lungo è di sei mesi, e la notte similmente». Degno è d’osservazione altresì, che Strabone, il quale non crede nemmeno le verità di Pitea, e le menzogne ne rimprovera con molta amarezza, tuttavia tace su questo proposito, e rettamente, perchè, o noi disse Pitea, o sei disse, il riferisce per scienza al polo stesso, e non per oculare inspczionc alla Tule (133).

Consimile è forse anche quanto dice Plinio, recando Pitea in testimonio, intorno al crescimento dell’Oceano: Octogenis cubitis supra Britanniam intuinescere æstus Pytheas Massiliensis auctor est. (134). Ora chi ne può dimostrare che tale iperbole uscisse della bocca di Pitea, e non sia anzi nata dalla disattenzione di Plinio o dei copisti? Se invece di Octogenis, tu ponga Octo (135), e computi pari il cubito ad un piede e