Pagina:Delle cinque piaghe della Santa Chiesa (Rosmini).djvu/126

Da Wikisource.
126
 
 


prie: dimentichi che eran comuni, le alienarono, le infeudarono, le permutarono, le donarono agli stessi laici, le spesero negli sfarzi, nei lussi, nelle delizie, nelle milizie, nelle violenze: a cui pur s’oppose la chiesa con innumerevoli canoni e decreti, rimanendone così vincolata soprammodo l’alienazione, l’amministrazione, e la disposizione; e rendendosi sempre più slegato da’ suoi prelati il clero inferiore, che la chiesa dovette necessariamente proteggere, contro l’arbitrio e la crudeltà di quelli; con replicate e minute disposizioni: onde la lotta sì spesso accesa anche oggidì fra i capitoli e i Vescovi; e l’inamovibilità de’ parochi, che toglie a’ prelati in gran parte il potere di rimediar prontamente agli scandali ed alle sciagure spirituali delle popolazioni.

148. Ma perocchè il divino fondatore della chiesa non volea che perisse il principio della comunione de’ beni ecclesiastici, non solo rispetto al loro possesso, ma nè anco rispetto alla loro amministrazione ed al loro godimento; perchè egli suscitò in quei tempi e moltiplicò il Monachismo e l’ordine religioso, il qual facesse espressa e pubblica professione d’un principio sì salutare: ed i fedeli guidati da quell’istinto cristiano, che in essi mai non fallisce mostraronsi da quell’ora più propensi a recare le loro oblazioni e i loro doni a quel clero regolare che custodiva severamente la massima antica, anzi che al clero secolare; onde quando dal Concilio iii di Laterano (1179) fu intimata la restituzione delle decime alienate ai laici, questi per la maggior parte le rimisero ai monasteri non più alle chiese a cui erano appartenenti, il che fu in appresso permesso dagli stessi Pontefici, purchè s’aggiungesse l’assenso del vescovo1

149. Una terza e preziosa massima dell’antichità si era che «il Clero non usasse de’ beni ecclesiastici se non il puro bisognevole al proprio sostentamento, impiegando il di più in opere pie, specialmente in sollievo degl’indigenti.» — Cristo avea fondato l’apostolato sulla povertà e sull’abbandono alla provvidenza che avrebbe mossi i fedeli al sostentamanto de’ loro evangelizzatori. Egli n’avea dato il più sublime esempio: «le volpi, potè egli dire, hanno delle buche, e gli uccelli del Cielo de’ nidi: ma il Figliuolo dell’uomo non ha dove posare il capo (Matt. viii, 20. — Luc. ix, 58.):» tal condizione dichiarava a colui che il volea seguitare. E Pietro avea lasciato fin le povere reti per tener dietro al suo nudo Maestro. Pure il Collegio apostolico aveva una borsa, in cui si riponevano le oblazioni de’ credenti; ma questa al tutto comune, esempio di ciò che dovea fare e fece poi la sua Chiesa. Quando il paralitico chiese elemosina, Pietro potè dirgli: Argentum et aurum non est mihi (Act. iii, 6.). Ma il bisognevole era assicurato agli Apostoli col diritto di vivere in quelle case de’ fedeli che gli accoglievano, ed accogliendoli, assai più che non davano, ricevevano. - L’Apostolo Paolo informava il suo discepolo Timoteo a questa dottrina scrivendogli: «La pietà è gran guadagno col sufficiente. Poichè nulla portammo noi in questo mondo, senza dubbio non possiamo nè portarne via bricciolo. Or avendo gli alimenti, e da ricoprirci, a questo stiamo contenti (I Tim. vi 68.).» Così l’entrare nel Clero, ne’ bei tempi della Chiesa, equivaleva ad una professione di evangelica povertà2. Allora questa parola di Clero secolare non era inventata, e comparve solo in quel decadimento dell’antica disciplina, quando parea che anche il secolo avesse

  1. Decr. Greg. L. iii, Tit. x, c. vii; L. v Tit. xxxiii, c. iii; e in vi, L. iii, Tit. xiii, c. ii, § 2.
  2. L’abbiamo espressamente da Giuliano Pomerio che scrive: Itaque Sacerdos, cui dispensationis cura commissa est, non solum sine cupiditate, sed etiam cum laude pietatis, accipit a populo dispensanda et fideliter dispensat accepta; qui omnia sua, aut pauperibus distribuit, aut ecclesiae rebus adjungit, et se in numero pauperum, paupertatis amore, constituit: ita ut unde pauperibus subministrat, inde et ipse tanquam pauper voluntarius vivat. De vita contemplativa L. ii, c. xi.