Pagina:Delle istorie di Erodoto (Tomo III).djvu/161

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9 io non posso ammettere che egli pure non desideri in CDore il buon successo della mia causa. E in questa opinione mi confermano le antecedenti sue ammonizioni, e la ragione intima delle cose. Imperocché il cittadioo porta per lo pili invidia alla felicità dell’altro cittadino, e suole tuergìi tacitamente infesto. Chi poi è richiesto da un 800 paesano di consiglio, difEcilmeote s’indutfe a dargli U migliore, se già esso non è pervenuto ad un grado eminente di virtìi. Fra ospite e ospite, invece, le cose passano molto diversamente: uno gode sempre delle felicità dell’altro, e Io scambio dei buoni consigli non manca mai fra di loro. Onde io interdico assolutamente a chicchessia di usar maldicenza contro il mio ospite Demarato.

238. Dette che ebbe Serse queste parole, incominciò a passare in mezzo ai cadaveri dei nemici. E fermatosi sopra Leonida; quando seppe che quegli era il re e il duce supremo dei Lacedemoni, comandò che gli mozzassero il capo e lo affiggessero in croce. Il qual fatto, oltre a molti altri, massimamente mi prova; che dovette essere straordinaria l’ira concepita da Serse contro Leonida vivo: né sarebbe in altro modo spiegabile tanto accanimento mostrato contro il suo corpo. Imperocché io non conosco altri uomini più dei Persiani rispettosi alla memoria dei prodi. Nel rimanente, gli esecutori degli ordini regi fecero come fu lor comandato.

239. Ma qui io voglio rifarmi un po’ addietro per dar compimento a una narrazione che lasciai in tronco. Dico «ra pertanto, come i Lacedemoni furono eflfettivamente i primi ad essere informati dei disegni di Serse contro la Grecia; e che ebbero questa notizia in un modo mera