Pagina:Delle istorie di Erodoto (Tomo III).djvu/374

Da Wikisource.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

trice, finalmente, al ventesimo giorno, Timagenide parlò ai Tebani in questa maaiera: Posciachè i Greci sono risolutiBsimi di non andarsene se prìnia non abbiano o espugnato Tebe o avuto noi nelle loro mani, non accada che per causa nostra la Beozia s’ingolfi in peggiori guai. Ma se la vera mira dei Greci è il danaro; e noi non siam che un pretesto; diamone loro di quel del pubblico: imperocché noi agimmo sempre d’accordo col voto pubblico nel favorire la causa medica, e non facemmo mai parte da noi stessi. Se poi sono proprio le nostre persone che vogliono, e perciò assediano Tebe, noi sapremo come difenderci alla presenza dei Greci. Parve ottimo ed opportuno discorso: onde i Tebani mandarono un loro araldo a Pausaoia per significargli, che avrebbero dati quelli che si chiedevano.

88. Ma mentre intervenivano gli accordi fra le due parti, Attagino se ne usci di soppiatto dalla città: ed essendo stati condotti innanzi a Pausania i suoi figli, questi li assolvè da ogni colpa, dicendo che i figli non avevano punto a rispondere del medismo del padre. Tutti quegli altri poi che erano stati consegnati dai Tebani al nemico, presumevano di poter ripulsare l’arcusa, edi scongiurare anche il pericolo col danaro. Ma Pausania, indovinando il disegno, non appena li ebbe ricevuti, sciolse l’esercito alleato, e mandò quelli a Corinto, dove furono per suo ordine tutti uccisi. E così adunque seguirono, come sono venuto esponendo, i fatti memorabili di Platea e di Tebe.

89. Nel frattanto Artabazo. figlio di Farnace, che se n’era (come vedemmo) fuggito via da Platea, fatto avea buon cammino. Entrato poi che fu in Tessaglia, i Tessali