Pagina:Delle strade ferrate italiane e del miglior ordinamento di esse.djvu/573

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tengo in sulle guardie. Confesso che tutto questo correre ad affaccendarsi a diritto ed a traverso, che quell’essere balestrati gli uomini come saette a grandi distanze colpisce sommamente la mia immaginazione. Non fuvvi cosa mai che tanto confondesse i miei sensi qnanto il trovarmi dentro ai porti franchi od ai magazzini degli spedizionieri, in quei vortici e bollimenti di uomini, di donne e di valigie, Ma so pur anche che gli uomini rimasero barbari sinché furono condannati a stare immobili entro i confini d’anguste signorie; che cominciarono a dirozzarsi allorché poterono comunicare insieme; e che per legge di proporzione, crescendo le comunicazioni e la fratellanza degli uni cogli altri, crescerà eziandio la civiltà, il cui pregio principale consiste nel far si che le umane azioni sieno sempre uniformi ai precetti della vera sapienza. In faccia a cosiffatte benedizioni meriterei l’onta di essere, all’età nostra, tenuto per un ganascione del medio evo, se mi opponessi, anche con semplici voti è con detti inmportuni, alla confezione delle strade ferrate. Chi avrebbe ragionevolmente il diritto di lagnarsi di quelle? Nissuno, eccetto la terra istessa, la quale, per la diminuzione e pel quasi annientamento delle distanze, da quella superba palla lanciata nello spazio dalla mano dell’Eterno, da quel bel pianeta ch’ell’era, passa alle umili proporzioni d’un semplice granello omeopatico, quale apparve in sogno a Scipione. Del resto so benissimo che quando gli altri fanno, volere o non volere, è giocoforza che facciamo anche noi; so che in mezzo ad un cenacolo, dove tutti tengono una facella accesa in mano, uno non può procacciarsi le dolcezze delle tenebre spegnendo la sua. Queste cose me le insegnò la nutrice sin dalle fasce. E così avrei esclamato ancor io, se non avessi creduto che una voce di più o di meno a nulla montava. Per un altro verso non avrei voluto mancare al municipio mio nativo, giacché, dopo che le mie treccie se ne sono ite con quelle di Berenice, il santo amore di patria sbandeggiò gli altri teneri affetti dell’animo, e regna solo.

È la mia terra nativa collocata dalla natura in sito dove sarà pur necessario che facciano capo o canali o strade ferrate e da ferrare, ogni volta che non si voglia escludere l’alto Piemonte dai più vicini e dai più facili commerci del Mediterraneo. Chiamar l’attenzione a quella parte era lo stesso come svolgerla dalla linea che s’avea in mira, vale a dire quella di Genova; laonde, invece d’essermi apposto a vergogna, dovrebbe essere lodato il silenzio osservato da me a bello studio, per non frammettere un intoppo di più ai consigli concernenti a quest’importantissima risoluzione; e ciò sia detto con tutte quante le restrizioni richieste per salvar l’amor proprio e per fuggire il ridicolo della vanità. Ma ora che il difficile problema è sciolto, posso sfogarmi finalmente con voi, e dire aperto il parer mio; e poiché parlo dopo che la cosa è fatta, sarà ben maligno chi vorrà appormi la taccia, che voglio schivare, di gratuito consigliero.

Voi siete l’Ulisse, anzi il Marco Polo piemontese; se non che Ulisse lasciò