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30. — Da alcuni giorni girano per Roma due indirizzi l’uno a Napoleone, l’altro a Vittorio Emanuele, tendenti ambedue a far cessare l’attuale stato di cose in Roma. Si dice che sieno di già composti di migliaia di firme1.


4 Maggio. — Nella mattina dei 30 aprile, per ordine sovrano, circa 30 gendarmi invasero l’arcispedale di S. Spirito, e, alla insaputa dello stesso monsignor commendatore Narducci, piantonando le stanze dei medici e chirurgi studenti, procedettero ad una rigorosa perquisizione.

Rinvennero carteggi politici col Piemonte e con tutte le parti dell’Italia redenta, un foglio colla firma autografa di Vittorio Emanuele, stemmi ed emblemi rivoluzionari, un foglio colle nomine di un ministero

  1. Questi indirizzi, che noi abbiamo riportati altrove, firmati da uomini d’ogni classe, per la maggior parte padri di famiglia raccolsero, in due mesi, e durante la ferrea dominazione pontificia, circa 10,000 firme. Se ad esse aggiungiamo quelle degli emigrati e dei carcerati politici, ch’erano una continua protesta contro il Governo stesso, apparirà che i Romani, col rischio del carcere e dell’esilio, compirono, in quei giorni, un plebiscito non inferiore di numero a quello dell’Italia Centrale e di Napoli, quando già erano libere.
          Il Governo pontificio, che comprese la somma importanza della dimostrazione, volendo impedirla col colpire alcuni firmatari, promise premio di 300 scudi a chi gli avesse recato una scheda con qualche firma. Ma, sebbene esse andassero per le mani di molti non si trovò in Roma, che non è seconda a nessuna delle città sorelle in onestà e patriotismo, chi, per amor di guadagno, tradisse la causa nazionale.
          L’indirizzo a Parigi fu portato dal principe di Piombino, da Vincenzo Tittoni e dall’architetto Camporesi.