Pagina:Diario di Nicola Roncalli.djvu/469

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delle lotte acerbe incontrate, per reggere e condurre a fine la grande impresa. E quando l’impresa era compita, quando appunto l’Italia festeggiava la sua liberazione dovuta massimamente al senno di lui, quando già s’incamminava al Campidoglio, ecco la morte lo rapisce all’amore dell’Italia, lo trasporta a riposare eternamente nei seno di Dio! Simile a Mosè, potè liberare il suo popolo dalla servitù straniera, potè condurlo sui limiti della terra promessa, ma gli fu vietato l’entrarvi, pago della certezza che quel popolo avrebbe avuta una patria, e sarebbe giunto ai grado di grande e prospera nazione.

» Romani! il conte di Cavour è morto, ma non muore con esso l’opera sua: grazie ai cielo, alla Italia non mancano menti capaci ed anime forti per coronare l’edifizio da lui innalzato. Lungi dalle intemperanze e dalle fiacchezze, l’Italia camminerà in quella stessa via, percorsa tanto gloriosamente sotto la sua condotta, e giungerà in breve e felicemente alla meta. Tocca a noi, al nostro senno e coraggio aiutare il compimento del nostro riscatto. Piangiamo sì, e dimostriamo pure il nostro dolore; ma rammentiamoci che la morte di Cavour con tutta la sua vita, e con dieci anni di governo della cosa pubblica, ci lascia un grande esempio di costanza, d’annegazione, di pazienza, di sacrificio, di volontà indomabile per raggiungere lo scopo prefisso.

» A noi dunque, o Romani, l’imitarlo efficacemente. Nell’estrema prova che ci si prepara sappiamo essere forti, prudenti, pronti ad ogni azione, ad ogni sacrificio e proviamo al mondo che il conte di Cavour