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navigazione online e riflessi penali


Per quanto maggiormente interessa in questa sede, è il terzo comma dell’art. 595 c.p. a prevedere quella che la dottrina ha definito “diffamazione mediatica”1:

Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516.

Si noti che il limite edittale massimo previsto per la pena pecuniaria di cui al comma 1 (“multa fino a euro 1032”) non trova applicazione in ordine alla “diffamazione mediatica”, laddove il comma 3, come si è visto, prevede una multa di importo superiore ad euro 516.

Ciò a riconferma che compiere reati on line non solo è possibile, ma spesso è anche considerato più grave e, pertanto, punito tendenzialmente in maniera più severa.

Coloro che, in qualità di docenti, si trovano ad avere un contatto diretto con i giovanissimi, hanno il dovere di trasmettere questo messaggio, il quale assume singolare rilevanza considerando la possibilità di porre in essere condotte diffamatorie (e/o ingiuriose) anche in Rete.

Esse, inoltre, possono anche inserirsi in un contesto di cyberbullismo e, in tali casi, le conseguenze delle condotte sulle persone offese possono avere risvolti particolarmente insidiosi.

Ciò è comprovato da una sentenza della Sezione V penale della Corte di Cassazione2 , la quale ha espressamente riconosciuto che una condotta diffamatoria



  1. Cfr. MAURIZIO FUMO (2012), La diffamazione mediatica, Torino, Utet giuridica.
  2. Cass., sez. V pen., sent. n. 23010/2013.

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