Pagina:Dieci lettere di Publio Virgilio Marone.djvu/11

Da Wikisource.
4 Lettera Prima

costoro, che per profession di Poeti son pontigliosi, e per ignoranza superbi, ci sprezzano, e fanno insulto. Qual diletto, e qual pregio possiamo in fatti trovare nell’opere loro, che nulla hanno di poesia fuorché qualche suono? Noi che sappiamo non consistere la Poesia in parole ed in suono se non quanto son le parole espressioni d’imagine, ovver d’affetto, e il suono stromento d’inganno e di diletto, come possiamo non esser nojati da’ loro versi esanimi, e scoloriti, e freddi più che ogni prosa? Veramente ci fa maraviglia che una lingua, e una poesia, come la vostra, che tanto abbonda di termini proprj, espressivi, sonori, che ha sì gran libertà e varietà di costruzione, tanta dovizia di modi, e di frasi, onde ha fatto raccolta ampissima, più che altro idioma, da’ Greci, Latini, Iberi, Galli, e perfino da’ Teutoni, e con ciò sì mirabile facilità di far versi, pur nondimeno sì poco riesca a far de’ poeti. Forse che il clima è cangiato, che le generazioni degli uomini sono deteriorate, che le lettere son decadute? Certo è che da gran tempo in qua non è comparso tra i morti alcun Poeta veramente sublime, un Omero, un Orazio, un Properzio italiano, benché Poemi e Canzoni, e Sonetti a migliaia siano usciti in italia senza fin, senza termine, e senza misura, dal Tasso in qua. Alcun di noi ciò ripensando ha creduto, che la troppa facilità appunto di verseggiare, altri che la moltitudine de’ Poeti e delle Academie, che ascolto incontrarsi persin ne’ villaggi, altri che la cieca imitazione de’ vostri antichi, ed altri, che altre cagioni producano questa sterilità. Io penso che da tutte derivi, e principalmente dalla falsa idea, che della poesia fannosi gl’italiani mal prendendo i suoi vecchi maestri ad imitare come esemplari eccellenti in tutto e perfetti. Han-