Pagina:Dieci lettere di Publio Virgilio Marone.djvu/15

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8 Lettera Seconda

ripugnanti e lontane un Poema. Il viaggio d’Enea, che pur ebbe cotanto sotto degli occhi, è ben diverso dal suo pellegrinaggio in quelle parti sì strane. Ha forse da me imparato a far venire Beatrice a cercarmi, Beatrice la qual era stata chiamata da Lucia, da Lucia, che sedea non so dove con l’antica Rachele, e tali ciance da nulla? Che potea saper io di Can della Scala, né del vas d’Elezione, che egli t’accoppia con Enea, né di cento siffatte cose? Quanto più si leggeva tanto meno se n’intendeva, benché ad ogni parola fosse un richiamo, e ad ogni richiamo un comento più oscuro del testo, ma pur così lungo, che il tomo era in foglio. Oh un Poema in foglio, e bisognoso ad ogni verso di traduzione, di spiegazione, d’allegoria, di calepino è un poema ben raro, diceva Orazio, se egli è vero che la poesia debba recare utilità insieme e diletto. Lucrezio stesso sbadigliava, i Greci lo nauseavano, alcun non vedea di che si parlasse, e rideva tra tutti Ovidio dicendo esser quello un Caos di confusione maggiore che il descritto da lui.

Pur de’ bellissimi versi, che a quando a quando incontravansi mi facean tal piacere, che quasi gli perdonava. Ma giunto poi, saltando assai carte senza leggerle, a Francesca d’Arimino, al Conte Ugolino, a qualche altro passo siffatto, oh che peccato gridai, che sì bei pezzi in mezzo a tanta oscurità, e stravaganza sian condannati! Amico caro, diss’io rivolgendomi verso Omero, guai a noi se questo Poema fosse più regolare, e scritto tutto di questo stile. Si lesse più d’una volta Ugolino, chi piagnea, chi volea metterlo in elegia, chi tentò di tradurlo in greco, od in latino; ma indarno. Ognun confessò, che uno squarcio sì originale e sì poetico, per colorito insieme e per