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98 fra un atto e l’altro

cere mio, rido in quel tal modo che è necessario per far ridere il pubblico, così che quest’atto, così spensierato per tutti quanti, per me, invece, racchiude questi pochi pensieri, queste poche preoccupazioni (contando sulle dita):

Prima di tutto: ridere mentre non ne ho voglia.

Secondo: ridere a tempo, con l’intonazione stessa del momento in cui recito.

Terzo: ridere, non già come rido io, quando.... rido, ma ridere come deve ridere il personaggio che rappresento.

Quarto: ridere non per divertimento mio; che anzi sbadiglierei, ma per far ridere la platea.

Quinto: ridere in proporzione al motivo per cui mi è imposta la risata.

Se no, a sbagliare di un millimetro, c’è da farsi tirare, Dio liberi, le mele cotte.

E questo lo chiamano ridere? questo è un martirio. Vorrei un po’ che vi provaste anche a sorridere, con simili preoccupazioni nel cervello; eppure io devo sapere quando convenga fare, mettiamo, un sorrisetto ironico, così (eseguisce), o