Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.2.djvu/276

Da Wikisource.
266 don chisciotte

dal nostro paese, e valuta quello che puoi e devi guadagnare per ogni mese, e pagati colle tue mani medesime. — Quando io serviva, rispose Sancio, don Tommaso Carrasco, il padre del baccelliere Sansone Carrasco molto ben conosciuto da vossignoria, io guadagnava due ducati il mese, oltre agli alimenti; ma con la signoria vostra non dico quello che io posso guadagnare, benchè sappia bene che maggior fatica è quella dello scudiere di un cavaliere errante che quella di chi serve un contadino. Ed in fatti noi quando serviamo ai contadini, per quanto lavoriamo nel giorno, e per mal che ci vada, abbiamo (a farla magra) alla sera una buona pignatta che bolle, e dormiamo nel nostro letto: cosa che non ho potuto fare da poi che servo vossignoria. Io non ho avuto bene che in quel poco di tempo che siamo dimorati in casa di don Diego de Miranda: e il mio gaudeamus è stato colla schiuma che ho cavata dalle pignatte di Camaccio, e il mangiare, bere e dormire in casa di Basilio; ma in ogni altro tempo ho dormito sopra la nuda terra, a cielo scoperto, soggetto a quelle che chiamano incremenze del cielo, sostentandomi con qualche scheggia di formaggio e con qualche tozzo di pane, e bevendo acqua ora di ruscello ora di fontana, quale s’incontra per queste catapecchie dove noi ci cacciamo. — Non so negare, o Sancio, disse don Chisciotte, ch’egli è verissimo tutto quello che tu dici. E quanto pare a te ch’io debba darti di più di quello che ti pagava Tommaso Carrasco? — Io mi contenterei, disse Sancio, di due reali di più che vossignoria aggiugnesse per ogni mese, e questo in quanto al salario delle mie fatiche; ma in quanto al soddisfarmi della parola e promessa fattami dalla signoria vostra di darmi il governo d’un’isola, sarebbe atto di giustizia che si aumentassero sei altri reali che in tutto sarebbero trenta. — Va benissimo, replicò don Chisciotte, e confermo il salario che tu ti sei attribuito. Corrono venticinque giorni da che siamo partiti dal nostro paese, fa il conto pro rata, e pagati, come già ti ho detto, colle tue stesse mani. — Oh corpo di me! disse Sancio, vossignoria va errato di grosso nel fare questo conto, perchè quello della promessa dell’isola si ha da cominciar dal giorno in cui mi fu assicurata, sino a questo in che ora siamo per finire le nostre ragioni. — Or bene, quant’è, disse don Chisciotte, che ti ho fatto la mia promessa? — Se male non mi ricordo, rispose Sancio, saranno più di venti anni, tre giorni più o manco„. Don Chisciotte si diede una grande palmata sulla fronte, cominciò a ridere sghangheratamente, e disse: — Nell’avere percorsa Sierra Morena ed ogni altra peregrinazione dopo la prima mia uscita non s’impiegarono che appena due mesi; e tu dici, Sancio, che corrono vent’anni da che ti ho promessa